Da Siviglia intanto, dove il tomatl è diventato tomate, la pianta giunge presto nel vicereame spagnolo di Napoli e si diffonde negli orti botanici italiani. Qui il medico e naturalista Pier Andrea Mattioli (1501-1578) dà al suo frutto un nuovo nome: pomo d’oro.
I due secoli di oblio non vanno però del tutto perduti. Nelle campagne dell’Andalusia e del Midi francese, ma soprattutto dell’Italia meridionale, anonimi contadini verosimilmente spinti dalla fame riescono ad addomesticare il pomodoro una seconda volta. Non solo eliminano le varietà contenenti la pericolosa solanina, ma riescono anche a selezionare le mutazioni spontanee portatrici di una modificazione genetica fondamentale: quella che consente alla pianta di fecondarsi da sola. In Europa infatti non ci sono gli insetti impollinatori naturali dei bellissimi fiori gialli del pomodoro, che essendo privi di nettari non interessano alle api. Così la produzione aumenta, perché basta che il vento o i bombi scuotano i fiori.
Il gusto del pomodoro resta tuttavia un “segreto” di popolazioni contadine già abituate a un grande consumo di vegetali. Il resto della popolazione europea, che dall’America aveva preso il mais, continua invece a sottovalutarlo privandosi così di vitamine essenziali e restando vittima di malattie terribili come la pellagra.
Per approfondire l’argomento consulta il capitolo Aspetti storici del volume "il pomodoro" della collana Coltura & Cultura.
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